Relazione d’aiuto | Dott. Paolo Drago
[dropcap type=”circle” color=”#ffffff” background=”#7ec7f1″]S[/dropcap]i ha una relazione di aiuto quando vi è un incontro tra due persone di cui una si trova in difficoltà, in una situazione di malessere rispetto ad una determinata situazione che si ritrova a dover gestire, ed un’altra persona in possesso di strumenti e competenze utili ad alleviare la situazione di malessere dell’altra.
L’origine del termine aiutare deriva dal latino adiuvare, composto da ad iuvare, cioè a giovare, significa quindi, come dicevamo, arrecare giovamento. Se fra queste due persone si riesce a stabilire una relazione che sia veramente di aiuto, allora è probabile che la persona in difficoltà inizi un qualche movimento di maturazione, chiarificazione, apprendimento delle competenze e qualità che l’altro gli offre, per rispondere in modo più soddisfacente alle proprie esigenze interne ed esterne. Molte relazioni amicali, familiari , di vicinato sono relazioni d’aiuto, ma possono esserlo anche molte relazioni a sfondo professionale: insegnante – allievo, medico-paziente, sacerdote – fedele, avvocato -assistito.
L’aiuto può assumere varie forme, sono ad esempio forme di aiuto, informare, fare cose pratiche a supporto di qualcuno. Voi capite che in questo tipo di relazione vi è la presenza di una parte forte, colui che presta aiuto, e di una parte debole, colui che soffre, che giungono in una relazione per dare l’una ciò che manca all’altra. Pensando a come la mancanza di potere spesso si traduce in una limitazione delle proprie capacità espressive ed in un assoggettamento alle modalità dell’altro, starà a chi e nella posizione di potere non abusarne e -favorire la comunicazione a favore dell’altro. Il colloquio di aiuto è ciò che fa interagire l’aiutante con la persona aiutata. L’idea base del colloquio è che se una persona si trova in difficoltà il miglior modo per aiutarla, non e dirle quello che deve fare, quanto piuttosto aiutarla a comprendere la sua situazione, aiutarla a riattivare le sue risorse emozionali, cognite ed affettive perché possa trovare un miglior livello di adattamento. Una delle condizioni fondamentali per instaurare una relazione di aiuto è il sentimento di fiducia reciproca. Quali caratteristiche personali bisogna affinare perché questo avvenga?
[dropcap type=”circle” color=”#ffffff” background=”#7ec7f1″]L[/dropcap]’Empatia: non è una parola italiana, è un calco della parola inglese empathy; la sua etimologia è spuria e posticcia, dalla parola tedesca einfuhlung , che grosso modo significa immedesimazione affettiva, tradotta in greco en=in, pathos=affetto, sentimento. La sua definizione non è del tutto univoca. Nei testi inglesi viene spesso usata nel senso di una comprensione partecipazione al mondo privato del paziente “come se” fosse il proprio. Ma quel” come se” viene spesso ignorato e si parla quindi di empatia come di una vera e propria identificazione e consonanza totale. Una definizione più precisa dovrebbe invece distinguere nettamente la comprensione dalla partecipazione per cui possiamo definirla ” una comprensione dello stato d’animo di un’altra persona, senza tuttavia sentire ciò che l’altra persona sente”. Una comprensione che non spinge fino alla identificazione. Se vogliamo trovare un altro termine possiamo parlare di simpatia: la facoltà di partecipare alle emozioni degli altri.
La persona empatica è quella persona che ti è vicina, che senti che può capirti, che ti ascolta, e in qualche modo partecipa della tua esistenza, ma nello stesso tempo non è coinvolto, non nel senso che non prova emozioni, ma nel senso che non prova le tue stesse emozioni. La giusta distanza, non l’indifferenza. Non puoi vivere l’emozione dell’altro, puoi solo sostenerla, attraverso la conoscenza delle tue. Diventa essenziale il nostro equilibrio emotivo: attenzione quindi ad un eccessivo coinvolgimento, ai rapporti fusionali che creano dipendenze reciproche. Per tutti coloro che si occupano di accudimento, è quindi molto importante non iper-preoccuparsi delle afflizioni altrui . Perché , se da una parte è un segno di umanità e civiltà prendersi a cuore la sofferenza di un altro essere umano, dall’altra talvolta si corre il rischio di esagerare, specialmente da parte di chi non è adeguatamente addestrato a difendersi dall’ Eccessivo coinvolgimento . È bene quindi distinguere una sana e costruttiva sollecitudine, da una malsana e paralizzante apprensione che può assumere la forma di una angoscia,un incubo. Qualora questo accadesse vi invito a riflettere sulla reale utilità di aggiungere la nostra sofferenza a quella della persona di cui ci si iper-preoccupa. Non gli offriamo un modello non disturbato da imitare, ma gli stiamo dicendo che anche noi staremmo male allo stesso modo. Concludendo la sana ed umana attenzione ai guai altrui genera un livello di sollecitudine che ci mantiene attivi verso compiti precisi e che ci fa sentire abbastanza sereni da riuscire a fare qualcosa per la persona che soffre. L’ iper-preoccupazione, invece, ci fa sciupare tempo ed energie con il risultato di portarci facilmente al burn-out.
[dropcap type=”circle” color=”#ffffff” background=”#7ec7f1″]L[/dropcap]a Persona Ingrata : quando sperimentiamo l’ingratitudine da parte di qualcuno, si producono in noi relazioni complesse, di segno negativo che determinano conseguenze
importanti nella relazione . Il contatto prolungato con situazioni di questo genere pone gli operatori di fronte ad un processo di usura altamente rischioso. Voi vi troverete a confrontarvi con utenti portatori di problemi molto complessi ed essendo molto motivati strutturerete un sistema di attese rispetto ai risultati del vostro impegno e della vostra fatica. Già da questo potete comprendere quale possa essere il livello di frustrazione sperimentabile di fronte ad una persona ingrata. Tanto più quanto il movimento di avvicinamento necessario per costruire una buona relazione viene sostituito da un atteggiamento di vera e propria adozione. Questo si nota soprattutto negli operatori che sono nella fase iniziale del loro impegno e vengono favoriti dalla disponibilità umana ed emotiva e dalla poca esperienza. La situazione di iper-coinvolgimento è destinata a non durare: mettiamo in atto movimenti di allontanamento dalla persona ingrata, iniziamo a provare fastidio, intolleranza, ostilità a causa della stanchezza e del logoramento del rapporto . Per prevenire situazioni di questo genere vi consiglio: riunioni d’equipe per la revisione dei casi, soprattutto quelli più complessi, per definire con maggiore chiarezza i compiti e valutare la reale fattibilità degli obiettivi; la supervisione del gruppo essendo orientata all’acquisizione da parte degli operatori di una maggior consapevolezza delle influenze emozionali che ogni relazione provoca, sviluppa una maggior confidenza con i propri vissuti e sentimenti.
[dropcap type=”circle” color=”#ffffff” background=”#7ec7f1″]L[/dropcap]’Ascolto : quell’atteggiamento di sensibilità e ricettività rivolto a cogliere non solo l’aspetto verbale, ma anche quello non verbale. Va ben oltre un udire superficiale, per divenire invece uno strumento di reale comprensione, nonché veicolo utile per mostrare interesse e considerazione nei confronti dell’altro. Si tratta di assumere un atteggiamento di apertura e ricettività in modo consapevole , svolgendo cosi un ruolo attivo nella relazione.
L’Accettazione : significa cogliere le sue comunicazioni, la sua personalità, la sua storia senza giudicare, senza emettere sentenze o trarre facili conclusioni, senza fornire consigli superficiali o non richiesti. L’accettazione comunica all’altro la disponibilità che abbiamo, la nostra apertura e ciò serve come presupposto alla libertà dell’altro di poter essere realmente se stesso, e di comunicare senza il timore di ricevere un giudizio.
Rischi e Benefici: l’individuo che si trovi a vivere una relazione d’aiuto pone se stesso in una condizione non priva di rischi, che possono essere evitati essendone consapevole e ponendo in atto strategie difensive. Il coinvolgimento emotivo è uno dei rischi maggiori, ne abbiamo già parlato, vorrei solo ricordarvi di mantenere sempre una certa distanza, dal punto di vista emotivo fra sé e i problemi degli altri, fra il proprio lavoro e il tempo del proprio non- lavoro. Non tutto può essere fatto per tutti.
[dropcap type=”circle” color=”#ffffff” background=”#7ec7f1″]S[/dropcap]personalizzazione: attenzione a non essere risucchiati dall’altro, la relazione deve essere bilanciata sulle esigenze dell’uno e dell’altro. Ci sono dei limiti da non superare pena l’annullamento di sé stesso. Induzione di aspettative irrealistiche: attenzione a non considerarsi quasi onnipotenti quasi fossimo in grado di risolvere ogni problema.
Tra i benefici, il primo consiste nella possibilità di auto- coscienza: è infatti nella relazione interpersonale e nella comunicazione con l’altro che ognuno di noi sperimenta se stesso, le proprie sicurezze e i propri limiti.
Questa conoscenza ci permette di intraprendere un possibile cambiamento e ciò costituisce una forma di crescita e maturazione. Infine vivere una relazione d’aiuto ci costringe ad essere aperti alle domande che nascono dalla vita, essere aperti al dialogo con noi stessi e con gli altri, ci permette di fare esperienza, che è fonte di sapere, di conoscenza, di saggezza. Invece al giorno d’oggi sembra che l’uomo abbia smarrito la capacità di fare esperienza, vive molte cose, consuma molti avvenimenti, ma sembra aver perduto l’abitudine a trasformare gli eventi in accadimenti interni. Ha perso la capacità di stare in ascolto, rimanendo sempre in superficie, mentre il compimento dell’esperienza si realizza nell’ascolto con il cambiamento.
Del resto per fare una esperienza bisogna che accettiamo di essere uomini patetici, non freddi ma ricchi di passione, e in questo senso la relazione di aiuto e una ricca opportunità perché l’esperienza accada, perché ci costringe a dare spazio ai nostri sentimenti, a riconoscere ciò che sentiamo e a renderlo meno caotico e confuso e a sviluppare la funzione sentimento così spesso dimenticata. Allora la relazione con l’altro ci aiuterà a crescere, scoprendo come prendersi cura dell’altro voglia dire prendersi cura di se stessi, della propria anima, della propria vita.